MADRE TERRA

MADRE TERRA

Un ventina di anni or sono, circa all’inizio di questo secolo, cominciarono a girarmi in testa, a comparire dietro agli occhi delle immagini vaghe e delle idee relative all’antica concezione umana dei quattro elementi naturali come componenti del nostro pianeta. Mi sorse dentro il desiderio, la voglia di rappresentare, o piuttosto di alludere con forme solide, in qualche modo, a questi fondamenti così arcaici della nostra “natura”.

Terra, terra fu la prima parola che vidi scriversi dietro la mia fronte.

La Madre Terra nei primi millenni del suo ruotare e ribollire nel sistema solare.

Cominciai così a disegnare, a fare schizzi e bozzetti, a piegare, incollare carte fino a pensare, ad immaginare una sorta di mammellone magmatico spaccato, come sbocco di materia lavica sorto da una crepa della Madre Terra. Nello stesso tempo mi veniva di fantasticare i rumori immani, gli schianti degli strati geologici che si aprivano, gli sbuffi, soffi, le ventate dei gas, i getti delle sostanze minerali fuse, le lave, i loro vapori. Arrivai ad immaginare, in un secondo tempo, che forse un essere primitivo e mitico, forse un fauno, avesse udito quei rumori, quei confusi suoni e stridii e avesse voluto simularli o accompagnarli con un suo flauto di canna.

Per questo pensai di aggiungere, da infiggere nella materia, come sorte dalla crepa primitiva centrale, delle vecchie canne forate come fossero elementari, primitivi strumenti musicali.

Mi ci volle parecchio tempo per realizzare il mio progetto perché pensai alla forma base centrale della altezza di circa un metro composta essenzialmente da blocchi di polietilene espanso (ethafoam) che sagomai, tagliai con coltelli e lame; ho rivestito poi tutte le forme realizzate con carta velina incollata per chiudere i pori dell’ethafoam ed ottenere superfici parzialmente lisce da dipingere coi colori acrilici.

La massa, piuttosto grande, fu difficile da lavorare e maneggiare e rivestire. E risultò anche più pesante rispetto a quello che avevo pensato. Ma fui infine soddisfatto. Avrei voluto coronare l’opera con l’aggiunta di un aggeggio elettronico che emettesse sottili suoni particolari, direi primitivi, dalle canne fuoruscenti dal magma. Ma non l’ho fatto, per ora.

Ho esposto l’opera in alcune mostre, gallerie ed anche all’aperto, luogo per me adattissimo, appesa ad un albero nel vicino giardino di via Campana 32, in Torino, dedicato ad Eva Mameli Calvino, botanica e antifascista madre di Italo Calvino.

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