Eremiti, frati ed erranti

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Alla fine degli anni ’60, cioè intorno alla mia età di ventotto, ventinove anni cioè presso i trenta, che secondo me è la stagione propria alla maturità, ero entrato in una crisi profonda con la fede cristiana cattolica in cui ero stato allevato.

Riflettevo parecchio e leggevo libri di storia delle religioni, sentivo forte la necessità di una fede e nello stesso tempo i dubbi mi segnavano, avevo lasciato da poco un comunità cattolica del dissenso in cui tuttavia avevo coltivato fruttuose discussioni e creato salde, forti amicizie.

Sentivo forte ancora il bisogno di un rifugio interiore, e un’aspirazione ad una metafisica, aerea sede dei mei sogni spirituali. Nello stesso tempo avevo dei forti dubbi sul valore, sul colore sul valore e significato della parola spirito. Non mi appagavano affatto varie metafisiche filosofiche moderne o antiche. La parola stessa Metafisica cominciò a disturbarmi, perché andavo immaginando che non avesse più senso se non nei libri di Storia della Filosofia.

Cercai libri, testi su altre religioni, mi avvicinai allo yoga, a certe concezioni del mondo buddhiste che mi hanno dato una visione più congeniale a ciò che sentivo, di cui avevo bisogno, a cui aspiravo, lessi opere di Sri Aurobindo e quasi contemporaneamente presi a disegnare dei frati nella propria cella partendo dal modello figurativo eccellente di Albrecht Dürer con il suo “San Girolamo nello studio”, tracciai a penna e pennino con la china, degli eremiti, degli erranti ( in tutti i sensi), e con questa ricerca artistica, voglio dire “approfondita” mi sembrò di rendermi più libero da pastoie dialettiche e più abile nel disegno. La pratica della concentrazione sui fini tratti che tracciavo, sulle forme che costruivo divenne una sorta di meditazione a cui mi abbandonai e mi servì molto per uscire da una crisi che mi aveva segnato.

Qui per documentare quanto ho scritto pongo alcuni di quei disegni dei primi anni settanta.