il cammino verso l’astrazione

Come ho già detto in un capitolo precedente, agli inizi della mia attività di pittore, dopo aver studiato gli antichi, i classici, i rinascimentali, cercando su libri, girando per mostre e musei, fui incuriosito, a volte affascinato da varie tendenze dell’Arte moderna.

La prima corrente che studiai con passione fu il Futurismo, essendo che in casa se ne parlava sovente per via di un notevole artista piemontese, scultore e pittore, del Secondo Futurismo, Mino Rosso, caro amico e compaesano di mio padre.

Il mio interesse naturalmente volse anche al Cubismo, che mi stregò di più e mi spinse a far prove in quella direzione. Mi innamorai delle composizioni cubiste di Picasso e Juan Gris. Ancor di più apprezzai Braque. Più che altro feci molti disegni neocubisti, forse tentai qualche dipinto nei primi anni ’60, ma non ne fui soddisfatto.

Comunque restavo legato in qualche modo alla figurazione, al verosimile, per quanto trasformato, tagliato, scorciato, spezzato, disgiunto.

Di seguito andavo esplorando i territori percorsi dai pittori che, partiti dal cubismo, avevano seguito vie che portarono ad un distacco sempre più deciso dal “vero visibile”, dal realismo. Vagai alla ricerca di modelli, dai dipinti geometrici dei costruttivisti, da Mondrian (che non comprendevo) ad Atanasio Soldati, a Magnelli, fino alle singolari trasformazioni del visibile attuate da Kandiskij, ai primi italiani astratti che avevano operato anteguerra. Tuttavia, ed insieme, restavo molto suggestionato dalla corrente surrealista (che morta non è), da Max Ernst, da Savinio, dal metafisico fratello Giorgio De Chirico.

A tentoni mi muovevo tentando coi miei mezzi tra i tanti fascini dell’espressionismo tedesco, da Otto Dix, Franz Marc, Max Beckman e George Grosz e surrealismi sempre più arditi.

Aggiungo ancora, per quanto riguarda i modelli, che molto amai Marcel Duchamp, come pittore cubista, ma lo detestai come precursore del concettualismo, perché non avevo abbastanza formazione né informazioni. Ora lo comprendo, lo amo, e molto.

Poi approdai, alla fine degli anni ’70, all’espressionismo astratto americano. Fu una grande scoperta. Fui colpito dalla libertà del segno, dalla materia stesa, a volte, “brutalmente”, fui preso dalle composizioni di Robert Motherwell, più che da Jackson Pollock, da Arshile Gorky a Willem De Kooning e Philip Guston.

Siccome da tempo mi interessavo anche di pittura classica cinese e giapponese, fui impressionato dal fatto che Motherwell trovasse ispirazione, producendo i suoi grandi segni in bianco e nero, che parevano neo/idoegrammi, nella sintesi pittorica, nel segno asciutto, puro degli inchiostri cinesi.

Mi cimentai.

Ma non potevo diventare, per mia natura, un pittore astratto totale preso solo dalla esplorazione della materia pittorica, dal buttare giù il segno, la pennellata attendendo un risultato che proviene da una sorta di magica fusione mente e materia e gesti, nata in uno stato quasi di trance.

Avevo necessità di alludere, più che rappresentare, descrivere, qualcosa che fosse reale, per quanto immaginato, perché mentale, fantastico.

Come ho detto, in quel medesimo periodo, mi immergevo in studi sull’arte, sulle filosofie orientali, cinese nipponica e indiana, e dalle riflessioni su tali temi traevo spunto per avventurami in tracciati che alludessero a quanto sentivo e intravedevo interiormente.

Infatti tra i primi dipinti astratti, grandi, che produssi tendevo ad alludere, a far balenare negli occhi dei fruitori di questa pittura, un oggetto che, per me, era il FLUIRE incessante della materia, tempo, spazio in cui siamo, viviamo, passiamo.

O cercavo, anche, con segni trasversali, a zig zag, di ricordare un componimento del grande poeta cinese Li Po intitolata “Difficile strada”.

Mi ponevo di fronte alla tela, alla carta e stavo in attesa di un momento di calma mentale totale, poi abbozzavo un segno, ne tentavo un altro complementare, ed entravo in uno stato di completa concentrazione in cui i rumori del mondo cessano di colpo, o si sfumano, diventano accessori. Una specie di trance, come dicevo prima, o di meditazione, distacco ed assorbimento totale nel fare, nel posare il colore.

Del risultato pittorico spesso sono stato soddisfatto.

Forse ancora migliore lo stato mentale raggiunto, pari a quello provato in tante sedute di yoga.

prova pagina astr.1.bisprova pagina astr.2.bisNon ho messo alcuna misura dei dipinti sulle due composizioni/collages di immagini precedenti. Tuttavia, per far intendere meglio, per visualizzarsele, in genere le tele non sono inferiori ai 50 x 70 cm.